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La leggenda popolare di Santa Cesarea
La piccola cittadina di Santa Cesarea Terme, affacciata sul Canale d’Otranto, deve il suo nome alla leggenda di una giovane martire cristiana. Come ricorda la tradizione locale (e confermano fonti storiche e scientifiche), il territorio è ricco di cavità carsiche: quattro grotte marine (Fetida, Sulfurea, Gattulla e Solfatara) da cui sgorgano acque minerali sulfuree a circa 30 °C. Queste sorgenti, note sin dall’antichità, furono interpretate attraverso miti e leggende. In particolare, alle origini di Santa Cesarea sono legate due narrazioni fondamentali, una pagana e una cristiana, che spiegano il colore e l’odore di zolfo dell’acqua termale come frutto di eventi soprannaturali.
La leggenda pagana dei Giganti
Nella versione pagana la storia risale all’età eroica: giganti invincibili (detti Leuterni, Lestrigoni o Titani) sfidarono gli dèi, scatenando una guerra cosmica. Su consiglio di Pallade, Ercole intervenne in aiuto di Giove e, dopo sacrifici propiziatori, sconfisse i mostri sui Campi Flegrei. Alcuni giganti superstiti fuggirono inseguendo fino alla costa salentina, fatta di rocce scoscese e grotte impenetrabili. Qui l’eroe li raggiunse e li massacró: «gli immensi corpi dei mostri si dissolsero e la putredine che ne scaturì penetrò nel suolo rendendo sulfuree le acque sotterranee». Da allora, secondo la tradizione, l’antico lido chiamato “Leuterno” (per il fetore delle acque) conservò memoria di quell’evento: il vapore sulfureo delle sorgenti divenne simbolo del male sconfitto.
La leggenda cristiana di Santa Cesarea
Con la diffusione del Cristianesimo la trama venne rielaborata in chiave sacra e locale. La protagonista è Cesarea (detta anche Cisaria), giovane vergine nata da un’agiografica coppia di nobili (Luigi e Lucrezia di Castro) e consacrata a Maria sin dalla nascita. Rimasta presto orfana di madre, Cesarea si dedica alla fede e al digiuno. Il padre, però, folle di libidine o di ossessione idolatrica, pretende di sposarla: ella si sottrae e finge di obbedire. Con l’espediente delle due colombe sulle acque (fingendo di lavarsi i piedi con due piccole colombe che lei porge al padre), riesce a fuggire di soppiatto. Inseguita dal genitore sul promontorio roccioso, Cesarea invoca l’aiuto divino. Allora – recita il racconto – un miracolo la salva: «il monte si apre» per nasconderla nella Grotta Sulfurea, mentre gli «stivali del padre […] diventarono di zolfo», incenerendo l’uomo. In questo modo Cesarea ottiene il martirio per purezza e il sacrificio trasforma le acque termali in fonte di guarigione, anziché di maledizione.
Diverse versioni del racconto sottolineano l’intervento di entità soprannaturali: ad esempio, in alcune redazioni un angelo custode guida Cesarea alla salvezza aprendo una fenditura nella roccia. L’ultimo gesto di Cesarea – richiamato nei resoconti più tardi – è un’imprecazione al monte perché la inghiottisca (la formula dialettale “Aprite, monte, e gnuttite Cisaria!”) a tutela della sua purezza. L’eroina, secondo il mito, rimane a vivere nella grotta come nuova “abitante” del luogo, mentre sul punto del miracoloso evento sgorgano le acque sulfuree. Questo gesto simbolico ribalta la visione pagana: ora l’acqua è purificata dal suo sacrificio.
Il contesto geografico e simbolico
Il promontorio di Santa Cesarea è caratterizzato da alte falesie calcaree frastagliate e grotte profonde. Lungo il costone roccioso l’antico stabilimento termale sfrutta quattro grotte naturali (Fetida, Sulfurea, Gattulla e Solfatara) collegate al mare, da cui sgorgano acque ricche di zolfo, cloruro, bromo, iodio e fluoro. In particolare la Grotta Sulfurea – con una galleria lunga circa 60 metri – ospita tuttora una sorgente termale sulfurea a circa 30 °C. Per i salentini antichi questo luogo era già noto come temibile: Strabone e Aristotele segnalavano che i naviganti evitavano il “Lido Leuterno” a causa delle esalazioni nauseabonde.
Nella leggenda cristiana la grotta diviene quindi lo scenario naturale del prodigio: il «massu» (riparo) si apre per salvare la santa. Questa immagine del monte “protettore” incoraggia la devozione popolare e conferisce un significato simbolico alle cavità carsiche: il rifugio divino in terra. L’erosione millenaria delle rocce e la presenza di un vero fontanile sulfureo hanno stimolato l’immaginario: lo zolfo, antico simbolo di impurità, è reinterpretato come elemento purificatore (si dice che le calzature del padre si tramutarono in zolfo ardente proprio per distruggerlo). Così la natura geologica «estremamente spettrale» di queste grotte diventa un teatro sacro, un luogo di transizione tra mare e cielo, terra e cielo, dove la leggenda giustifica il mistero del luogo.
Varianti locali della leggenda
La narrazione popolare di Santa Cesarea ha subito nel tempo diverse varianti. Secondo lo studio del Comune, si individuano tre versioni principali della leggenda cristiana:
Padre incestuoso: è l’ipotesi più diffusa in epoca tardo-medievale e moderna. Cesarea fugge perché il padre, posseduto da una «passione dei sensi», la vuole sposare.
Padre pagano: colloca la storia fra III e IV secolo: Cesarea si converte al Cristianesimo contro la volontà del genitore “pagano”, che la perseguita per ostacolare la nuova fede.
Pirata saraceno: qui il persecutore è un corsaro nemico; ambientata nel Medioevo, sostituisce il padre con un marinaio infedele.
Tra le versioni locali va menzionata quella in vernacolo redatta all’inizio del Novecento dal poeta salentino Trifone Nutricati, in cui Cesarea scappa da un “demone infame” (il padre ossessionato) dopo essere stata convertita da un soldato romano. Anche in questa rielaborazione popolare il padre insegue la figlia fino alla grotta: la montagna miracolosamente si apre e gli stivali paterni, come Cesarea aveva augurato, si trasformano in zolfo infuocato, inghiottendo l’uomo. Tale versione esplicita ulteriormente la connessione simbolica con lo zolfo, ereditando motivi del mito classico.
Influenza culturale, devozione e identità locale
La leggenda di Santa Cesarea non è semplice folklore, ma elemento fondante dell’identità locale. La cittadina e le sue terme portano il nome di questa santa leggendaria: l’antico “Fons Gigantum” divenne in epoca tardo-medievale Santa Cisaria, poi latinizzato in Santa Cesarea. Ogni anno – secondo tradizione – si svolge una processione in mare in suo onore: l’11 e 12 settembre un simulacro di Santa Cesarea viene portato sino alla Grotta Sulfurea per una breve sosta, quindi accolto da una messa solenne sulla terraferma. Questo rituale testimonia la devozione popolare radicata nelle famiglie dei pescatori e dei termalisti.
Il culto di Santa Cesarea è stato diffusissimo in tutto il Salento: la presenza di toponimi come San Cesario vicino a Lecce o Porto Cesareo sulla costa di Nardò attesta l’ampiezza del suo seguito. Nei luoghi di culto sparsi nella regione (chiese, affreschi, processioni) la santa è celebrata come protettrice delle donne e dei puri, simbolo di resistenza morale. La leggenda ha anche contribuito a reinterpretare il significato delle acque termali: oggi non più vista come minaccia fumante, l’acqua sulfurea è considerata un dono benefico ottenuto dal sacrificio divino di Cesarea. In sintesi, mito e storia si intrecciano a Santa Cesarea Terme: la fantasia popolare valorizza il paesaggio carsico e termale, mentre la comunità locale tramanda la memoria della santa come parte integrante della propria cultura e identità.
Fonti: Studi e pubblicazioni locali (storia del Comune di Santa Cesarea Terme, documenti delle Terme), associazioni culturali salentine e articoli giornalistici locali.